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L'arte del lutto nei videogiochi, da Clair Obscure: Expedition 33 a Rime

L'RPG di Sandfall è un rito sul lutto e la morte come accettazione, memoria e responsabilità, oltre l'intrattenimento. Ma quali altri giochi dipingono questa verità?

SPECIALE di Elisa Erriu   —   08/07/2025
Verso, uno dei protagonisti di Clair Obscur: Expedition 33
Clair Obscur: Expedition 33
Clair Obscur: Expedition 33
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La morte, nei videogiochi, è uno strumento. Una fase stazionaria necessaria che serve per stimolare il gameplay: se non rischi la vita, che divertimento c'è? Tanto dopo il famoso "game over", il gioco può continuare ancora e ancora e ancora. Ci hanno ammazzato, resuscitato e ammazzato innumerevoli png con centinaia e centinaia di titoli in questo modo, esorcizzando la morte ancor di più tra soulslike, vite extra e pozioni della rinascita varie. Ma ci sono giochi in cui anche la morte viene presa sul serio. Voi avete capito la morale finale di Clair Obscur: Expedition 33?

Avete visto entrambi i finali e intuito le differenze?

Questo RPG sviluppato da Sandfall Interactive, un team francese di circa 30 persone guidato da Guillaume Broche, ci ha proposto una Belle Époque alternativa, incentrata sulla figura di una immensa Pittrice che scandisce la morte degli abitanti di Lumière. Sin dai primi minuti del gioco facciamo i conti con la morte: Maelle, una ragazza orfana che è stata adottata da Gustave, lo accompagna verso il misterioso evento noto come "Gommage".

Questo termine, che si ricollega alla gomma da cancellare, come molti altri termini utilizzati rimanda all'intero universo dell'arte (chroma, picta etc), allude al momento in cui ogni anno la Pittrice dipinge un numero su un monolite, decretando la scomparsa di tutte le persone di quella età o più. Ed è così, tra petali di rose e parole non dette, che capiamo che anche nei giochi la morte non ha nulla di divertente.

La narrazione del lutto: la verità oscura che porta una chiarezza importante

Il cuore emotivo di Clair Obscur: Expedition 33 è la disperata ricerca di una risposta: cosa succede dopo la morte? Tutto il gioco è un artistico, poetico, colossale percorso del lutto - personale e collettivo - attorno a cui ruotano i personaggi e l'intero contesto narrativo. La "expedition" è una scusa, il gioco della vita, la metafora del viaggio dell'eroe con cui ci illudono che la consapevolezza e la realizzazione possano essere vinte attraverso ostacoli e difficoltà. Ma non è così. Non c'è vera consapevolezza senza sacrificio, non c'è crescita senza perdita. È tutto un gioco finché non si capisce che la vita può finire davvero.

Gustave e Sophie di Clair Obscur: Expedition 33
Gustave e Sophie di Clair Obscur: Expedition 33

Clair Obscur: Expedition 33 ci smaschera, colorando la realtà: così come non c'è chiaro senza scuro, alludendo ancora una volta a una famosa tecnica pittorica, non c'è vita senza morte. Tutta la storia è un'artistica parabola sull'accettazione. Rimanendo attaccati al passato, non c'è futuro. Rimanendo attaccati al dolore, non c'è identità. È triste se non si è capita la bellezza di questo quadro: noi possiamo dipingere la realtà come la vogliamo. Ma non sarà mai la realtà. La realtà fa male. E farà sempre più male sfuggirle.

La trama mostra, infatti, due modalità opposte di reazione al lutto: l'accettazione, rappresentata da personaggi come Renoir che scelgono di convivere con la perdita, e la negazione, come nel personaggio di Alicia, rimasta intrappolata nel ciclo del rimpianto. Rievocando i cinque stadi del lutto teorizzati da Kübler-Ross, con la tragicità accentuata dalla natura ciclica della Pittura divina, che costringe ogni anno alla rinuncia, il giocatore è portato fino alla fine a chiedersi: accetterò mai la fine? O preferisco vivere un'illusione?

Gustave in un momento preciso del primo atto di Clair Obscur: Expedition 33
Gustave in un momento preciso del primo atto di Clair Obscur: Expedition 33

Che voi abbiate o meno vissuto un lutto, vi chiedo di concentrarvi sulla potenza disarmante di questo pensiero: la morte è inevitabile e irrimediabile, se anche foste delle creature divine in grado di rivivere nei ricordi, la drammaticità della domanda rimarrebbe. Voi preferireste vivere l'illusione di quella vita tenuta su per un vostro desiderio o accettereste che lui/lei non c'è più? Come si può dire serenamente "certo, meglio la morte all'illusione" pur sapendo che è vero? Questo è ciò che prova a rispondere Clair Obscur: Expedition 33. E in realtà la risposta sta ancora davanti al porto di Lumière, tra Gustave e Sophie: l'accettazione del lutto è la risposta di chi rimane in vita. Eppure questa risposta hanno provato a darla anche altri giochi, oltre l'RPG di Sandfall.

Il parallelismo con altri giochi: il lutto come esperienza interattiva

Clair Obscur: Expedition 33 costruisce un rito videoludico in cui il lutto diventa esplorazione, memoria e responsabilità. La morte e l'accettazione della perdita non sono solo un tema narrativo, ma un elemento strutturale. Il gameplay stesso - dal conteggio degli anni sul monolite all'esplorazione rituale post-Gommage - riflette un ciclo di commiato e speranza.

La sensibilità francese permea tutta l'opera di Sandfall
La sensibilità francese permea tutta l'opera di Sandfall

Il percorso di perdita e accettazione è scandito anche dall'epopea musicale, dai dialoghi e dallo stesso motto del gioco: "When one falls, We continue" o ancora il motto "For those who come after". Non si tratta solo di sopravvivere, ma di trovare un significato nella memoria dei caduti. Persino all'ultima scena finale, a discrezione del giocatore, sono un crocevia di vie tra negazione e resa: restare nell'illusione o accettare la necessità di andare avanti. In maniera simile, That Dragon, Cancer utilizza iper-narrazione, piccoli eventi quotidiani e ambientazioni simboliche per condurti nel dolore.

That Dragon, Cancer: lutto autobiografico senza filtri

Nel 2016, That Dragon, Cancer ha esplorato con coraggio il lutto di un genitore: quello di Ryan Green, il cui figlio Joel è morto a causa di un tumore cerebrale. Con un tono intimo e fragile, il gioco ha trasformato l'esperienza personale in un racconto interattivo dell'accettazione, facendo vivere al giocatore momenti di speranza e disperazione alternati. Il gameplay punta e clicca diventa display di registrazioni reali, poesie, fotografie: strumenti di sopravvivenza emotiva che rendono tangibile il senso del tempo. Se Expedition 33 usa la tragedia per forgiare eroi morali, That Dragon, Cancer è pura resa. Il giocatore non può salvare Joel. Non può nemmeno interagire nel senso tradizionale del termine: può solo ascoltare, osservare, piangere. Le meccaniche si spezzano come si spezzano i genitori di Joel, in una struttura che rifiuta le logiche del "giocare per vincere".

L'estetica devastante di That Dragon, Cancer
L'estetica devastante di That Dragon, Cancer

Anche qui, come nella spirale della Pittura in Expedition 33, non esiste agency che possa riscrivere il destino. Il valore del gioco non sta nella sua difficoltà, ma nella sua onestà: costringerti a restare, impotente, dentro il dolore. È la stessa impotenza che pervade Alicia, in Expedition 33, nel suo rifiuto di lasciare andare chi ha perso.

Rime: meditazione silenziosa sul distacco

Rime è forse il più metaforico tra i titoli trattati, un viaggio onirico che si rivela, solo alla fine, essere una discesa nel dolore di un bambino per la perdita del padre. Ogni enigma, ogni paesaggio, ogni ombra è un simbolo; ogni ostacolo superato è una fase dell'elaborazione.

Le atmosfere mitologiche di Rime
Le atmosfere mitologiche di Rime

Come in Expedition 33, il gameplay si intreccia con l'architettura dell'anima. Non si gioca semplicemente: si rielabora. Si attraversano i resti del trauma cercando un varco, un passaggio, una luce. Rime fa del lutto poesia visiva: niente dialoghi, scenari suggestivi e rompicapi che rappresentano le fasi dell'elaborazione del dolore. La travolgente esperienza stilistica parla alle emozioni, come la luce e le ombre di Clair Obscur modellano la narrativa visiva di Expedition 33. Entrambi condividono la scelta di usare il potere silenzioso del sogno per esplorare il distacco, pur distinguendosi per tono.

Death Stranding: camminare tra i morti, legare i vivi

A prima vista, Death Stranding sembra troppo distante. Un action futuristico di Kojima pieno di creature fantascientifiche, piogge che accelerano il tempo e consegne di pacchi. Ma in realtà, è uno dei giochi più profondamente intrisi di riflessione sul lutto. In un mondo dove i morti tornano pericolosi, il protagonista Sam è un corriere che connette ciò che resta. Camminare diventa un rito, il peso dei passi e la loro lentezza diventano metafora del trascinarsi il dolore addosso. Ogni legame umano ristabilito è un atto di resistenza contro l'estinzione. Come i protagonisti di Expedition 33, Sam porta sulle spalle il ricordo di chi non c'è più, cercando un senso oltre l'isolamento, costruendo ponti - letterali - e simbolici.

Una scena e la potenza di Death Stranding
Una scena e la potenza di Death Stranding

In Death Stranding, Hideo Kojima trasforma la morte in motore narrativo e meccaniche di gioco: il protagonista ricostruisce connessioni tra comunità distrutte, portando oggetti, creando infrastrutture; ogni consegna diventa un passo verso la riconnessione umana. A fianco del lutto collettivo, qui il giocatore compie un atto di cura concreta. Expedition 33 condivide questa tensione: si perde chi si ama, ma si può costruire un futuro comune partendo dal dolore.

Lie in My Heart: intimità e lutto quotidiano

Meno noto, ma devastante nella sua autenticità, Lie in My Heart è un gioco autobiografico in cui il creatore, Sébastien Genvo, racconta il suicidio della compagna, madre del loro figlio. Il gioco è crudo, diretto, e profondamente umano: mette il giocatore nei panni dello stesso autore, costretto a gestire la perdita, la vergogna, le domande senza risposta. In modo simile ad Expedition 33, che ci obbliga a vedere morire chi amiamo (e magari a dimenticarlo per sopravvivere), Lie in My Heart ci pone davanti all'ineluttabilità di alcune verità. Nessuna scelta è davvero giusta, ogni parola può ferire. Non ci sono vittorie, solo percorsi. Il gameplay, essenziale ma angosciante, è una sequenza di micro-decisioni quotidiane che riflettono l'impossibilità di "giocare bene" quando si è colpiti dal trauma.

Il figlio di Sébastien Genvo di Lie in my Hearth
Il figlio di Sébastien Genvo di Lie in my Hearth

Titolo indie ancora poco noto, narra una relazione stroncata dalla malattia, esplorata attraverso flashback, dialoghi in sottrazione e interfacce che si degradano con il tempo. Il gameplay diventa ricordo, ricostruzione mentale della quotidianità perduta. Questa dimensione intima e frammentaria richiama l'attenzione interiore che Expedition 33 risveglia: il dolore privato impatta la quotidianità.

Un mosaico di lutto: la ricchezza del catalogo gaming

Accanto ai titoli già menzionati, altri giochi hanno sviscerato il tema della morte e dell'elaborazione del lutto: Hellblade: Senua's Sacrifice esplora il dolore psichico e la possessione; The Last of Us Parte II intreccia vendetta e perdita; Journey propone la morte come transizione aspirazionale; Ori and the Blind Forest ne sfrutta ancora l'estetica. In tutti questi titoli si respira un'evoluzione importante del medium videoludico: da passatempo a spazio privato, da evasione a confronto esistenziale. Expedition 33 si inserisce in questa linea come punto di fusione tra arte e vissuto, tra regia teatrale e coinvolgimento ludico. Ogni scelta, ogni morte, ogni numero dipinto dalla Pittrice ha un'eco negli altri giochi citati. È la stessa eco che risuona in noi, quando una perdita ci costringe a rimettere insieme i frammenti.

Il viaggio di Senua non è esente da solore
Il viaggio di Senua non è esente da solore

Il videogioco non è più solo un modo per fuggire dalla realtà. Sempre più spesso, come in Expedition 33, diventa lo spazio in cui osare guardarla in faccia, il cammino verso la maturità emotiva, dimostrando che, come insegnano Renoir e Verso alla fine: "Vedi le cose come sono e non come vorresti che fossero". Perché la morte è un momento, vivere continuamente un'illusione è morire ogni giorno.