A chi diceva che uno studio con così poche persone non poteva di certo competere con i colossi dei GDR giapponesi come Square Enix, Masayuki Kato, presidente di Nihon Falcom, rispondeva che andava bene com'era. Perché a lui la gente non piaceva, e 60 dipendenti erano già abbastanza. Un aneddoto che la dice lunga sulla scorza che aveva Kato, fondatore dell'azienda nel 1981. Erano partiti come un negozio che vendeva prodotti Apple, a quei tempi uno dei pochi di tutto il Giappone. La loro clientela tipo erano i nerd, i super appassionati di hardware. In quegli anni erano ancora in piena frenesia per i primi due film di Star Wars, tanto che il nome stesso dell'azienda, Falcom, deriva dal Millennium Falcon unito alla parola computer. L'humus culturale era quello giusto per cominciare a sviluppare i videogiochi in proprio, anche se le prospettive erano quelle che erano. Quelli sono gli anni della grande crisi dei videogiochi, dell'Atari Shock. Si pensava che di lì a poco non sarebbe nemmeno più esistito un settore. E invece.
Nihon Falcom è tra le più antiche realtà giapponesi nel mondo dei JRPG, è stata fondamentale nella creazione dei giochi di ruolo d'azione. È anche una di quelle che ha all'attivo le serie più longeve in assoluto, e anche più amate dagli appassionati. Tra queste, il fiore all'occhiello è la serie Trails, o, com'è chiamata in patria, Kiseki. Al momento conta tredici capitoli principali: nasce come sottoserie di un'altra saga, quella di Dragon Slayer, e poi si è affermata con un'impronta talmente personale da camminare da sé. Un po' com'è successo tra Shin Megami Tensei e Persona. Trails è una delle serie di JRPG più amate al mondo. La troverete sempre in cima alle liste dei giochi di ruolo alla giapponese più apprezzati dai fan, che si prodigheranno poi a consigliare da dove cominciare. E lì parte il dramma.
Perché, a differenza di altre saghe con venti, trenta o quarant'anni addosso come Dragon Quest, Final Fantasy e Shin Megami Tensei, quella dei Trails è una storia fortemente interconnessa. Significa che i capitoli si parlano, sono ambientati nello stesso continente (Zemuria), i personaggi sono ricorrenti, ci sono persino momenti di ensemble che puntano tutto sull'unione di eroi provenienti da storie diverse. Significa che, per giocare all'imminente The Legend of Heroes: Trails Beyond the Horizon, è sicuramente necessario che giochiate The Legend of Heroes: Trails through Daybreak II, quello prima, ma sarebbe proprio il caso che giocaste anche gli altri capitoli. Alcuni dei quali non sono nemmeno disponibili su console. O non lo erano, fino a pochissimo tempo fa. Fino alla sorpresa di Trails in the Sky 1st Chapter, il remake del primissimo capitolo, uscito qualche mese fa. Una scelta, quella di ripartire da capo, di fondamentale importanza per Nihon Falcom.
Una scelta controversa dopo l’altra
Se, nel corso della sua lunga storia, Falcom ha avuto l'occasione di prendere una scelta controversa, state pur certi che l'ha fatto. Negli anni '80 e '90, quando tutte le aziende concorrenti si spostavano verso la produzione di videogiochi su console e la serie Final Fantasy diventava sempre più amata e conosciuta, prima su Super Nintendo e poi su PlayStation, Nihon Falcom ha continuato a sviluppare quasi esclusivamente su PC. Un mercato che - specialmente in Giappone - era considerato morto, oppure buono solo per le avventure ecchi ed hentai. Ma all'azienda poco importava. Dritti per la loro strada, fino alla fine, con poche, misurate incursioni su piattaforme Nintendo e Sony. Negli anni, Toshihiro Kondo, l'attuale presidente della compagnia, ha spiegato che sviluppare su PC era per loro molto più semplice e permetteva di avere il controllo sul processo lungo tutta la catena di sviluppo. Su console i videogiochi dovevano passare verifiche molto lunghe e i lavori sul codice dovevano essere terminati decisamente prima. Ma il pubblico PC si assottigliava sempre di più e spostarsi alle console fu un passo necessario. Così, nei primi anni 2000, arrivarono altre due scelte all'apparenza controverse alla base della creazione e del capostipite, The Legend of Heroes: Trails in the Sky.
La prima è che, mentre tutte le altre aziende cominciarono a lavorare su grafiche 3D sempre più sofisticate, Kondo decise invece di puntare su un'altra caratteristica: la storia. Falcom investì piuttosto in un team di scrittura eccezionale, specialmente nella realizzazione di un world building coeso e dettagliato. L'altra scelta controversa fu quella della console di destinazione. La decisione da prendere era tra il campione Nintendo DS, la seconda console più venduta della storia, e la PlayStation Portable. Scelsero quest'ultima. Non fu un verdetto dettato da una semplice svista: la PSP incarnava l'eredità di PlayStation 2 ed era destinata a un pubblico più hardcore. Falcom si era sempre rivolta a una nicchia estremamente consapevole, giapponese, amante di un certo tipo di esperienza. Era considerata una bottega artigianale di videogiochi "come andavano fatti". E Trails in the Sky era proprio così: come andava fatto.
L’arrivo in occidente e la mastodontica traduzione
Per darvi un'idea della mole di testo contenuta nei primi capitoli di Trails in the Sky, vi basti sapere questo: The Legend of Heroes: Trails in the Sky SC, il secondo capitolo della saga che XSEED si prese l'onere di tradurre, contava circa 716.000 parole. L'equivalente di 10 romanzi. Il Signore degli Anelli, nella sua interezza, è lungo poco più della metà: circa 450.000 parole. Questa travagliata storia è stata raccontata qualche anno fa da Jason Schreier sulle pagine di Kotaku. Il dramma era che, oltre alla mole, i testi erano pieni di rimandi, termini tecnici, nomi propri e personaggi ricorrenti tra un capitolo e l'altro. Questo era il preludio al grande paradosso della serie Trails, e cioè che il suo punto di forza - la narrazione coesa - è anche il suo più grande problema, sia quando lo metti in mano a un traduttore, sia quando lo metti in mano a un giocatore. Trails non è una semplice balena bianca; è Moby Dick.
Anche per questo motivo, le versioni occidentali cominciarono ad accumulare un grande ritardo su quelle giapponesi. The Legend of Heroes: Trails in the Sky arrivò nel 2011, sette anni dopo l'uscita in patria (2004‑2011). Durante l'immensa fase di traduzione, Jessica Chavez, la main editor di XSEED, perse il 10% del suo peso corporeo per via dello stress e impiegò nove mesi di lavoro febbrile. Il secondo capitolo della saga rischiò di non arrivare proprio: la traduzione richiese nove anni (2006‑2015) e, in mezzo, ci fu tutta una storiaccia di tentati suicidi, gente che mollò a metà del lavoro, e la povera Chavez che dovette finire in sei mesi un'impresa che sarebbe stata ardua da portare a termine anche nel doppio del tempo. Il tutto, bisogna dirlo senza peli sulla lingua, per una manciata di videogiocatori occidentali, perché non si può certo dire che questa serie facesse i numeri di Final Fantasy. Tutto quel dolore, tutta quella fatica, ma per cosa?
Per vedere il sole bisogna fare un salto avanti nel tempo: in questi ultimi anni la saga è esplosa. Sicuramente le community online hanno avuto un ruolo determinante in questo successo, e anche quell'intuizione che Kato e Kondo hanno avuto tanti anni fa ha funzionato: fare le cose come vanno fatte, senza andare troppo per il sottile, senza preoccuparsi dei numeri. E soprattutto, puntare sulla scrittura. Questo ha creato una schiera di fan che non mancano mai di elogiare Trails e di inserire alcuni dei capitoli ai primi posti tra i migliori videogiochi di sempre.
Un po' di numeri li diamo noi, invece, per rendere questo lieto fine un po' più analitico: nel 2020 la serie aveva superato cinque milioni di copie vendute tra tutti i capitoli. Nel 2022 i milioni erano sette. Nel 2024 si erano superati gli otto, grazie anche alla localizzazione più rapida dei capitoli che uscivano in patria. Quest'anno Falcom ha festeggiato i nove milioni di unità in tutto il mondo, con un milione di copie vendute solo negli ultimi dodici mesi. La saga ha da poco spento venti candeline e i tempi di adattamento si sono ridotti moltissimo, tanto che The Legend of Heroes: Trails Beyond the Horizon è in arrivo in occidente a gennaio 2026, "solo" un anno e mezzo dopo l'uscita giapponese. Ma allora, qual è il problema?
Da dove si comincia?
Come si diceva, il problema è che il grande punto di forza dei Trails è anche la loro più grande debolezza. La saga è enorme, cronologicamente connessa. Saltare i capitoli significa perdere il senso di parte o del tutto, e recuperare i vecchi videogiochi è complesso. Un po' perché non sono tutti disponibili su tutte le piattaforme (PlayStation 4 e 5 non hanno i Trails in the Sky, Nintendo Switch nemmeno, e non ha i primi due capitoli di Trails of Cold Steel; il PC è l'unica piattaforma che ha tutto), un po' perché sono irrimediabilmente invecchiati. Si tratta di videogiochi che a volte hanno vent'anni e non è solo il livello tecnico a risultare superato per i nuovi videogiocatori. E poi c'è l'investimento di tempo.
Chiedete pure agli amanti dei JRPG e vi risponderanno che esistono pochissime serie meno "accoglienti" per i novizi dei Trails. Solitamente, quando qualcuno vi chiede consiglio per cominciare a giocare a Final Fantasy, potete suggerirgli di partire dal vostro capitolo preferito, o perfino dall'ultimo uscito, senza problemi: poco importa, ci sono degli elementi comuni, ma l'esperienza è comunque perfettamente fruibile. Con i Trails non è così. Nel corso del tempo, Nihon Falcom ha diviso la serie in archi narrativi, con i rispettivi primi capitoli che fungono come punto d'ingresso per la storia, ma provate a chiedere a un purista della saga e la risposta sarà sempre la stessa: bisogna partire da Trails in the Sky. E non era facile.
Questo è il momento in cui Nihon Falcom prende una scelta forse estranea a quella sua filosofia senza compromessi. Ma bisogna immaginare la scena: The Legend of Heroes: Trails Beyond the Horizon è, secondo le parole di Kondo, il punto di svolta decisivo per la conclusione dell'intera saga di Trails. Conclusione che non è ancora stata esplicitata, perché l'annuncio che ha colto tutti di sorpresa per il ventennale è stato quello del remake del primo capitolo. Trails in the Sky 1st Chapter è fondamentale perché è il punto d'ingresso ideale per i nuovi videogiocatori, ma anche per chi, con il tempo, si è perso per strada e sfinito dalla mole del racconto ha abbandonato.
Trails in the Sky 1st Chapter rappresenta questo: un invito. Nonostante Kondo abbia più volte dichiarato che non esiste un punto d'ingresso ufficiale per la serie, e che ai videogiocatori non è esplicitamente richiesto di partire dal primo capitolo per comprendere tutto, ha definito la questione come un "problema noto": vent'anni di storia non puoi di certo studiarli all'interno della ricca enciclopedia del videogioco. La soluzione era semplice, seppure lontana dal solito modus operandi di Falcom. Trails in the Sky 1st Chapter è stato una prima volta per l'azienda, anche perché è stato lanciato in contemporanea mondiale il 19 settembre. Una dichiarazione di intenti molto chiara che ha premiato l'azienda con il miglior lancio di sempre su Steam.
C'è anche un altro dettaglio che Kondo ha messo sul piatto: il numero di utenti si stava riducendo mentre la saga si avviava al suo spettacolare finale. E questo era un bel problema. Forse davanti a questa prospettiva, Nihon Falcom ha dovuto fare una scelta: tradire un pochino sé stessa, quella inflessibile voglia di fare le cose dritte come un treno senza guardarsi indietro e cercare di imbucare più gente possibile in questo party esclusivo appannaggio dei pochi che sono riusciti a restare in groppa per tredici videogiochi. Ecco, in quest'ottica, la scelta di realizzare un remake del primo capitolo è un'occasione straordinaria non tanto per il singolo videogioco, quanto per la saga. Anche nella scelta di fare un remake, Falcom si è distinta dagli altri: la decisione non è nostalgica, non è atta a preservare il passato, ma a rendere possibile un futuro ancora lungo e brillante per questa meravigliosa - monumentale, estenuante, epica - saga.